L’emissione delle note di variazione nelle procedure concorsuali, ai sensi dell’art. 26 del DPR n 633/72, secondo l’interpretazione fornita dalla prassi ed alla luce delle diverse circolari del Ministero delle Finanze (vedasi circ. n 77/2000) e dalle diverse risposte dell’Agenzia delle Entrate (vedasi interp. AG n 261/2010 e risp. n 33/2020, nonché risp. interp. n 869/2002), è subordinata al momento della “definitiva” infruttuosità delle procedure concorsuali, momento in cui si determina il mancato pagamento in tutto o in parte dell’operazione.
Sul tema si è pronunciata di recente la Cassazione con la sentenza n 2586/2020, che concorde con i principi della giurisprudenza comunitaria (contraria a subordinare la variazione all’infruttuosità della procedura che duri più di 10 anni, C-246/16) stabilisce l’illegittimità della pretesa del Fisco di ottenere l’IVA dal cedente/prestatore, che non abbia operato ai sensi del suddetto art. 26 per il mancato pagamento delle procedure infruttuose, quando tale meccanismo sia stato impiegato dal cessionario/committente eliminando in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l’erario.
Quindi secondo i Giudici, non occorre che il cedente/prestatore che non abbia provveduto alla variazione dell’imponibile proceda comunque ad assolvere l’IVA relativa alle operazioni compiute con il cessionario/committente fallito, per poi richiedere la stessa a rimborso, in quanto non dovuta a causa della infruttuosità della procedura.
Altrimenti si procederebbe con il principio “solve et repete” che non è quindi in linea con il diritto della Unione Europea.
Avv. Cristina Bongiovanni
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